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Storia della biologia relativa alle basse temperature.
(A cura del Dott. Belgrano V. e della Dottoressa Nieddu E.)


Introduzione.

In questi capitoli tratteremo l’approccio fisico al congelamento dei tessuti biologici, iniziando, ovviamente, dal loro elemento fondamentale: la cellula.
Studieremo i fondamentali principi fisici che, dagli studi iniziati negli anni 60, saranno in seguito adottati (e applicati) sino a giungere alla moderna criochirurgia.
Non è nostro compito descrivere tutti gli sviluppi "storico-scientifici" e menzionare  gli scienziati che hanno contribuito a tali progressi, ma illustreremo l’evoluzione storica della criogenia nei suoi passi essenziali discutendo gli sviluppi fondamentali e le implicazioni biofisiche che, oggi, sono la base dell’attuale criochirurgia.
Non possiamo però dimenticare uno scienziato che ha speso tutta la sua vita alla ricerca delle leggi biologiche inerenti  al freddo.
Ci riferiamo a Peter Mazur illustre biologo e pioniere insigne e fecondo.
Non abbiamo altro modo per fare onore a questo studioso che descrivere una sua breve autobiografia, peraltro ottenuta direttamente dai documenti che abbiamo trovato in rete e nelle sedi scientifiche qualificate quali biblioteche dei vari centri universitari italiani e mondiali.
Nel proseguimento di questa carrellata tratteremo anche altri fondamentali studiosi scusandoci con quelli che non menzioneremo, proponendoci di parlare in seguito del loro lavoro altrettanto importante e utile.

Research Statement

My field is cryobiology, the branch of biology that is concerned with the responses of living cells to freezing and very low temperatures. All living cells require liquid water and appropriate temperatures to function. Freezing constitutes a dramatic perturbation of these conditions, and consequently, the study of how cells respond to this perturbation may help elucidate the role of liquid water in living cells and in intracellular constituents such as proteins and nucleic acids. Furthermore, these responses involve fundamental physiological and physical chemical processes like osmotic flow; and freezing injury primarily involves damage to the cell’s outer membrane, a vital and complex component of cells.
For the past eight years, our laboratory has been analyzing the involvement of these physical processes and forces in the survival or death of cryopreserved unfertilized eggs from mice, zebrafish, and the frog Xenopus, and cryopreserved yeast, and Chinese Hamster V79 and COS-7 tissue culture cells. We chose these cells primarily because they serve as excellent models for examining the mechanistic aspects of the field. But simultaneously much of cryobiology has had and will continue to have major practical ramifications. In 1972, my group, then at the Oak Ridge National Laboratory, became the first to successfully cryopreserve early mouse embryos. This led in rather quick succession to the successful preservation by others of cattle and then human embryos. The first has played a major role in the genetic improvement of livestock; the latter has played a major role in clinical assisted reproduction.
One intriguing aspect of cryobiology is its relevance to the search for extraterrestrial life. In this venture, NASA has made its goal "To follow the trail of liquid water," Mars is tantalizing in this regard. It is the current consensus that long-long ago, the planet had considerable liquid water but that it was subsequently lost because of decreased temperature and atmospheric pressure. But perhaps not all has been lost, for the recent surface rovers have obtained photographic evidence of its existence.

Il mio campo è la criobiologia, la branca della biologia che si occupa delle risposte delle cellule viventi sottoposte a temperature di congelamento molto basse.  
Tutte le cellule viventi richiedono acqua allo stato liquido e adeguate temperature per la loro funzionalità.  
Il c ongelamento costituisce una perturbazione drammatica di queste condizioni, e di conseguenza, lo studio di come le cellule possano rispondere a questa perturbazione è molto importante per spiegare il ruolo dell’acqua liquida in esse e nei componenti intracellulari, quali proteine ​​e acidi nucleici. Queste risposte fondamentali implicano, inoltre, processi chimici e fisico biologici fisiologici, quali il flusso osmotico, e le lesioni da congelamento che coinvolgono principalmente danni alla membrana esterna, elemento essenziale e complesso di tutte le cellule.

Negli ultimi otto anni, il nostro laboratorio ha analizzato il coinvolgimento di questi processi fisici e le forze per la sopravvivenza o la morte di uova crioconservate non fecondate di topo, zebrafish  (Danio rerio), e la rana Xenopus e lievito crioconservati, e di criceto cinese V79 e cellule di coltura tissutale COS-7.   Abbiamo scelto queste cellule in primo luogo perché servono come modelli eccellenti per esaminare gli aspetti meccanicistici del campo. Allo stesso tempo, però, gran parte della criobiologia ha avuto e continuerà ad avere importanti conseguenze pratiche.   Nel 1972, il mio gruppo, poi all’Oak Ridge National Laboratory, ha conseguito in anticipo sui tempi il primo successo per crioconservare embrioni di topo.   Ciò ha portato in rapida successione, la preservazione con successo da parte di altri tipi di bestiame e poi embrioni umani.  
Il primo ha svolto una funzione fondamentale nel miglioramento genetico del patrimonio zootecnico, il quale ha sviluppato un ruolo importante nella tecnica di riproduzione assistita.
Un aspetto intrigante della criobiologia è la sua rilevanza per la ricerca di vita extraterrestre.   In questa impresa, la NASA ha creato come  suo obiettivo "Per seguire le tracce di acqua allo stato liquido," su Marte.  
Sappiamo unanimamente  che molto tempo fa, il pianeta ha avuto una notevole quantità di acqua allo stato liquido, ma che poi è stata persa a causa della diminuzione di temperatura e pressione atmosferica.
Forse non tutto è perduto, per i "rover di superficie" (rilevatori di superficie) recenti che hanno ottenuto prove fotografiche della sua esistenza.

Queste sono le sue parole, semplici e chiare, che rivelano la grandezza di un uomo che per noi, studiosi della criogenia, riteniamo uno dei padri delle basse temperature.
Grazie ai suoi studi passati e presenti, è stato possibile comprendere le complesse  leggi che governano questo campo affascinante e articolato.
Ricordiamo che  il Dott. Mazur ha ricevuto il suo AB magna cum laude all'Università di Harvard nel 1949 e il dottorato di Ricerca in Biologia a Harvard nel 1953.
Dopo quattro anni con l'Air Force Research e Development Command, ha trascorso due anni presso la Princeton University come Borsista post-dottorato National Science Foundation prima di entrare nel Personale della Divisione di Biologia nel 1959.
In aggiunta ad uno di questi aspetti fondamentali della criobiologia, il Dott. Mazur si è dedicato alle applicazioni della criobiologia alla medicina, all'agricoltura, e alla genetica. Per esempio, il suo laboratorio è stato il primo a congelare gli embrioni di mammiferi, una scoperta che ha avuto un notevole impatto in tutti e tre i Settori.
Nel 1972, il biologo Peter Mazur e due colleghi hanno annunciato una scoperta sorprendente: avevano surgelato embrioni di topo, tenendoli per giorni in azoto liquido (a -196 gradi Celsius). Una volta scongelati sono stati impiantati in una madre surrogata.
La copertina di
Science magazine ha mostrato i risultati dell'esperimento: embrioni di topi congelati, al riparo dal gelo.
In due settimane di sperimentazione, la squadra aveva capito ciò che gli altri cryobiologists (letteralmente, "biologi del gelo") avevano cercato per due decenni.
Di questi fatti Mazur riferisce con le seguenti parole: "Non era a causa di qualsiasi brillantezza da parte nostra, ma perché i principi di criobiologia erano abbastanza ben conosciuti da metterci in condizione di sapere quello che stavamo facendo". (traduzione dall’inglese)

La tecnica è stata ben presto adottata dall’industria del bestiame, è un modo per condividere la ricchezza genetica dei bovini superiori: gli embrioni congelati sono ormai di routine negli Stati Uniti.
Il congelamento degli embrioni non ha conseguito il meritato successo fino al 1980, quando fece il suo ingresso nel mondo delle cliniche per la fertilità dell'uomo.
Nonostante le perplessità suscitate dal congelamento embrionale umano, Mazur è realista sugli usi futuri della criobiologia: la difesa degli animali la cui specie è in via di estinzione, ad esempio, l'impianto di cavalli con embrioni da rare zebre e mantenere topi di ricerca o di moscerini della frutta, protetti da, diciamo, gli "incendi" di laboratorio o studio di raddrizzamento delle mutazioni chiamato "deriva genetica".
Alla fine, la tecnica del freddo potrebbe anche essere adattata per preservare gli organi umani legati al trapianto, mentre la loro ospite è gradualmente introdotta ai suoi nuovi tessuti.

Due decenni dopo aver fatto notizia con la tecnica del freddo, Mazur ha ancora un posto privilegiato nel nostro cuore per la sua opera svolta.

E’ stato nominato membro delle Nazioni Unite nel 1985.

E’ altresì interessante notare quanto questo biologo nei suoi scritti non si stanca di evidenziare l’importanza della termodinamica e della chimica-fisica. Scienze fondamentali per la comprensione degli studi criogenici e, come già ribadito in precedenza, per la corretta progettazione delle macchine d’intervento criochirurgico.
I tessuti animali sottoposti  a basse temperature a scopo terapeutico subiscono effetti non ancora ben conosciuti. Solo la criobiologia può contribuire a comprenderli meglio, favorendo, di conseguenza, lo sviluppo di apparecchiature per gli interventi criogenici sempre più efficaci e sicure.
Allo stato attuale, le principali conoscenze  risalgono a studi intrapresi negli ultimi decenni del secolo 1800; tali  ricerche, in cui già erano stati descritti e chiariti dettagliatamente i principali meccanismi, hanno lasciato del tutto irrisolti alcuni problemi di natura biofisica.  
In particolare, le ricerche condotte sulla "preservazione" e sulla "conservazione" dei tessuti mediante l’effetto del freddo, si sono rivelate di estrema importanza per la comprensione dei meccanismi di  "distruzione", a scopo terapeutico, dei tessuti (che, in realtà, è il nostro obiettivo fondamentale).



EFFETTI  DEL RAFFREDDAMENTO TISSUTALE.


Punto di congelamento.

La cellula, dal punto di vista strutturale, è composta di un citoplasma (racchiuso  entro  una  membrana plasmatica)  nell'interno  del quale  vi  è  un  nucleo  (contenuto in  una  membrana nucleare); sotto l'aspetto chimico è costituita da un insieme di proteine, glucidi, lipidi, ioni e acqua i cui scambi con l'esterno sono selettivamente regolati da pori, proteine canale e carriers presenti sulla membrana plasmatica.   Consideriamo, ora,  il  caso di un abbassamento della temperatura al quale siano sottoposte le cellule in una sospensione acquosa. Per prima cosa avviene il  congelamento dell'acqua  in  cui  queste  sono  immerse; in seguito, con il progressivo diminuire della temperatura,  la  soluzione  ionica del citoplasma, che ha un  punto di  congelamento  variabile  tra –6°C e –10°C, si superraffredda fino a raggiungere una temperatura tale da far congelare anche l'acqua intracellulare [1, 2]. Dalle osservazioni sperimentali si rileva che l'acqua all'interno della cellula congela spontaneamente solo dopo che si è formato il ghiaccio esterno [3]. Questo fenomeno è determinato da un insieme di fattori che analizzeremo in seguito per meglio comprendere il loro ruolo nella criobiologia.


Cristallizzazione.


Il congelamento dell'acqua, come avviene nella creazione dei cristalli, richiede iniziatori della cristallizzazione. Si può dunque affermare che il ghiaccio esterno ha effetto di "innesco"  sulla  cristallizzazione dell'acqua intracellulare.


Tensione superficiale.


Un ulteriore e importante parametro che interviene nella fase di congelamento è rappresentato dalla tensione superficiale. Tutte le molecole che sono in un sistema si attraggono (o si respingono) reciprocamente secondo forze, dette intermolecolari, la cui origine può essere causata, oltre ad una serie di altri fattori, a legame idrofobico, effetti di natura elettrostatica o alla presenza di legame di Van der Waals. Il parametro principale da cui dipendono le forze in argomento è costituito dalla distanza tra le molecole stesse. Ciò spiega che, quando una molecola si trova dentro un liquido, possiede una ben definita energia potenziale dovuta al contributo delle particelle che la circondano; quando, invece, è posta in superficie, è soggetta a una forte attrazione verso il fluido (e non vi è alcuna componente attrattiva verso il gas o vapore esterno). Ne consegue che, se tutte le molecole poste sulla superficie sono attratte verso l'interno, la configurazione di energia minima della superficie dovrà essere necessariamente a forma di goccia sferica.
Nel caso in cui l'attrazione delle molecole liquide verso il solido sia debole, si avrà una deformazione della goccia dovuta solo agli effetti della gravità. Si otterrà una leggera deformazione della sfericità. Al contrario, quando il solido esercita una forte attrazione, la deformazione della goccia aumenterà sino al completo spargimento del liquido sulla superficie del solido stesso (fenomeno conosciuto con il termine di bagnabilità della superficie).
E’ possibile, a questo punto, calcolare il lavoro (incremento infinitesimo) che consente di definire l'energia necessaria per aumentare l'area della superficie di 1 cm 2 e cioè, la forza lungo 1 cm moltiplicata per la distanza di 1 cm entro cui detta forza si muove.

Quando l'acqua esce dalla cellula, all'interno di questa aumenta la concentrazione di soluto e, conseguentemente, il punto di congelamento diminuisce.
Sappiamo che il punto di congelamento (e la pressione di vapore) di una soluzione è inversamente proporzionale alla concentrazione di soluto. Questo fenomeno è determinato da una serie di fattori quali:  la velocità di raffreddamento, la permeabilità di membrana all’acqua e ai soluti, il coefficiente di temperatura, il volume iniziale di acqua e il numero di moli osmotiche di soluto nella cellula [4].
Da considerazioni termodinamiche che legano analiticamente i parametri sopra esposti, grazie all'uso di soluzioni numeriche, è stata rappresentata graficamente la percentuale di acqua iniziale che rimane in una cellula a varie temperature per diverse velocità di raffreddamento. Sperimentalmente, si è notato che il raffreddamento ottenuto in tempi brevi, impedisce all'acqua di uscire completamente dalla cellula e, tanto maggiore è l'acqua dentro la cellula,  quanto maggiore è il superraffreddamento.
Il fenomeno s’inverte quando la velocità di raffreddamento è minore.
In prima approssimazione, possiamo assumere la forma della cellula a quella di una sfera e, poiché il rapporto tra volume e superficie è
r3/r2, potremmo asserire che, a uguale velocità di raffreddamento, le cellule di maggiori dimensioni trattengono una più alta quantità d’acqua all'interno. Ciò spiega la reale difficoltà incontrata nel poter congelare con successo cellule di dimensioni molto grandi senza ottenere alcun impatto fisico sulle stesse [4].







VELOCITA' DI SCONGELAMENTO E DANNO CHIMICO.

Come abbiamo visto, quanto minore è la velocità di raffreddamento, tanto maggiore è l'eliminazione dell'acqua dalle cellule. Questo fatto è utile per prevenire il congelamento all'interno. Naturalmente, l'eliminazione dell'acqua dalla cellula ha come conseguenza l'aumento della concentrazione del  soluto. Del danno chimico che ne consegue,  il NaCl è ritenuto il maggior responsabile. Allo stato attuale delle nostre conoscenze di questo danno, inteso come rottura o cambiamento di legami chimici tra elementi dovuto a effetti fisici sul sistema, sappiamo poco.
Possiamo, tuttavia, affermare che, maggiore è il gradiente termico e maggiore sarà il danno prodotto.
Siamo quindi alla presenza di un parziale effetto favorevole e cioè: una lenta velocità di raffreddamento previene il danno fisico prodotto dal ghiaccio interno alla cellula, ma non è in grado di ridurre il danno chimico che ne consegue.

Possiamo affermare, inoltre, che, completata la disidratazione per l'abbassamento di temperatura, ulteriori diminuzioni di temperatura possono essere effettuate a qualsiasi velocità senza causare alcun danno alla cellula.
Il riscaldamento avviene rispettando le stesse regole che sono state enunciate per il raffreddamento e l'acqua che era in precedenza fuoriuscita, rientra nella cellula a una velocità che è funzione del tempo, della temperatura stessa e della concentrazione. Sempre in tale situazione, è  stato dimostrato sperimentalmente che vi è un diverso danno alla cellula a differenti velocità di scongelamento. Di norma si è osservato che, più è rapido  il riscaldamento, tanto maggiore è la sopravvivenza delle cellule [5, 6, 7].



NASCITA DELLA MODERNA CRIOBIOLOGIA.

Negli anni 1970 il bagaglio teorico relativo agli usi del freddo in chirurgia incominciò a prendere consistenza scientifica grazie a ricercatori non prettamente criobiologi ma anche medici e chirurghi coadiuvati da ingegneri e fisici. Il lavoro teorico e sperimentale del prof  Mazur rimase come riferimento importante e indiscusso.
E’ indubbio che l’impronta scientifica data dai ricercatori di quegli anni sia stata (ed è ancora) fondamentale riguardo allo sviluppo di questa scienza.
La moderna criochirurgia ricerca gli effetti deleteri del freddo a fine distruttivo.
E’ quest’aspetto che ci interessa ai fini progettuali degli strumenti criochirurgici e alle tecniche d’intervento chirurgico.
La massima efficacia distruttiva di uno strumento criogenico, in concordanza a quanto in precedenza esposto e in conformità alle ricerche del prof Mazur, consiste nell’operare su un determinato tessuto congelandolo molto rapidamente per poi riscaldarlo lentamente.


Sfortunatamente una massa neoplastica non è possibile rappresentarla con una semplice formula matematica o una regolare figura geometrica.
Nella sostanza è un modello "reale" e occorre, quindi, tenere conto di tre variabili fondamentali: 1) l’accessibilità della parte da trattare, 2) le caratteristiche della "massa" da raffreddare,  3) gli eventuali danni da freddo ai tessuti perilesionali.
Quando si parla di raffreddamento nell’unità di tempo, si fa inevitabilmente riferimento al principio di potenza criogenica. Per raffreddare velocemente determinate masse di tessuti è richiesta un’elevata potenza, certo, molto maggiore di quella che sarebbe necessariamente utilizzata in condizioni di normale raffreddamento (impiego di  tempi più lunghi).
In questo periodo "storico" della criochirurgia non esistono ancora procedure ben collaudate o ben definite (protocolli) che siano in grado di determinare e seguire l’intervento nelle sue fasi complesse.
Anche la medicina iniziò a proporre coadiuvanti chimici per risolvere problemi che la criochirurgia non aveva risolto.
E proprio in merito all’evoluzione farmaceutica che proporremo una breve carrellata per descrivere quanto nel mondo si produce in tal senso e in particolar modo lo studio di quel complesso fenomeno legato ai diversi aspetti della risposta immunologica quando si opera con la criochirurgia [8-12].



Risposta Immunologica

La risposta immunologica al congelamento è stata oggetto di un esame dettagliato da parte di Sabel.
Shulman, Ablin et al. dimostrarono che specifici anticorpi comparivano nel siero dei conigli dopo il congelamento della prostata. Fu dichiarato che la rottura delle membrane delle cellule dovuta al congelamento rilasciasse sufficienti antigeni da indurre la formazione degli anticorpi.
L'interesse della risposta immunologica fu fortemente accresciuto nel 1970 quando Soanes et al. descrissero la riduzione delle lesioni metastatiche a seguito di ripetuti congelamenti nei pazienti del cancro alla prostata.
Molti ricercatori hanno scoperto i benefici dell'azione specifica sul sistema immunitario stimolando la produzione di anticorpi antitumorali, quali cellule T e produzione di citochine. Alcuni scienziati hanno pensato che la risposta immunologica potesse essere aumentata con agenti adiuvanti.
Neel e Ritts  riportarono che l'incremento della risposta immunitaria specifica del tumore, visto dopo il congelamento, aumentava con l’escissione del tumore, ventiquattro ore dopo il congelamento. Fu così suggerito che la maggior parte della risposta immunitaria che segue la necrosi tumorale prodotta dal congelamento avvenisse nelle prime ventiquattro ore.
Seifert et al. congelando il 50% del fegato dei ratti, notarono un incremento dei livelli sierici di citochine, provocando una lesione al fegato e rene, probabilmente mediata dal rilascio di citochine dal fegato stesso. Joosten e i suoi collaboratori descrissero un elevato livello sierico di citochine dopo aver congelato i tumori impiantati nei topi.
In conclusione, questi studi riflettono la diversità di opinione riguardo ai benefici della risposta del sistema immunologico nella criochirurgia. Sebbene gli esperimenti con i tumori animali dimostrino il controllo della crescita attraverso le tecniche di congelamento, l'esperienza clinica non ha mostrato nella criochirurgia benefici nei tumori umani che potrebbero essere attribuiti alla risposta immunologica. D'altro canto, è chiaro che più grande è il volume del tessuto distrutto dal congelamento, più elevate sono le probabilità di una disfunzione al fegato e ai polmoni postoperatoria (CRIOSHOCK), che è stata attribuita al rilascio delle citochine e i prodotti legati alla rottura dei tessuti; poiché è stata dimostrata in alcuni esperimenti animali la risposta del sistema immunitario, sono necessari successivi studi sulla crioimmunologia.

In generale, si ha una diminuzione della duplicazione e della trascrizione del DNA, un rallentamento nella sintesi proteica, tranne l’aumento di sintesi di particolari classi di proteine, le shock proteins, proteine indotte dallo shock. Sorprendentemente tali proteine sono prodotte non solo dallo shock termico, ma anche da altri agenti stressanti per la cellula (alterazioni di pH, pressione, tonicità ecc.).
L’alta conservazione e l’inducibilità fanno pensare che anche shock proteins eterologhe possono essere usate per curare patologie umane.
L’importanza di tali shock proteins è aumentata dal fatto che, oltre ad un ruolo intracellulare come protettrici dell’integrità della cellula, esse conservano un ruolo extracellulare importantissimo nell’immunità.
Le shock proteins sono importanti fattori coinvolti nello sviluppo, nell’oncogenesi, nelle malattie neurodegenerative e autoimmuni, nelle infezioni virali e nella vecchiaia. Perché?
Per esempio, la senescenza cellulare e la vecchiaia in vivo sarebbero correlate con un continuo declino nell’abilità di produzione di tali proteine in risposta ad uno stress.
È proprio il ruolo extracellulare che è coinvolto nel sistema immunitario: aumentati livelli sierici di shock proteins si registrano nell’uomo come risposta a condizioni di stress, compresa l’infiammazione e le infezioni virali e batteriche. Lo stress e citochine proinfiammatorie aumentano il rilascio di shock proteins dalle cellule tumorali.
[Nieddu E. et al, 2013 CPD in attesa di pubblicazione].
La precedente relazione che ipotizza gli effetti reattivi del sistema immunitario quando il soggetto è sottoposto a criochirurgia fornisce una plausibile ed elegante teoria che la dottoressa Nieddu E. ha formulato in merito alle conseguenze (positive) del freddo.
Questa teoria che spiega in modo generale i processi biochimici dovuti agli effetti delle basse temperature avrà, a nostro parere, conseguenze future molto importanti per la lotta al cancro.
E, cosa molto importante, fornisce altre giustificazioni scientifiche alla scelta degli interventi di criochirurgia in tutti i casi di tumori a rischio e anche in quelli che si possono operare con le tecniche tradizionali.
In altre parole queste ricerche, appena intraprese e lungi dall’essere concluse, conducono verso potenziali attività che daranno certamente una svolta positiva alla lotta verso la cura delle neoplasie utilizzando le basse temperature.

Lo sviluppo della criochirurgia come tecnica terapeutica ha ricevuto un maggior stimolo dall'introduzione di apparecchi criomedicali automatici raffreddati con azoto liquido (-196°C) grazie al Dott. Cooper e all’Ing. Lee AS nel 1961 [13].
Nella sua autobiografia, Cooper, medico neurologo a New York City, descrisse i dettagli dello sviluppo di una sonda raffreddata ad azoto liquido sotto vuoto per intervenire sul cervello e il contributo d’ingegneri e scienziati della Linde Division dell’Union Carbide Corporation alla costruzione di apparecchi [13].  Detto strumento consisteva in un’asta isolata e una punta di metallo che conduce. L’apparato aveva controlli della temperatura e la possibilità di regolare l'effetto termico sulla sonda.
Quando applicata ai tessuti, era in grado di estrarre calore con continuità e produceva un raffreddamento in situ. Il dispositivo era progettato per produrre lesioni criogeniche nel cervello per trattamenti di pazienti parchinsoniani e altri disordini neuromuscolari [13]. Cooper riconobbe che lo strumento aveva un'utilità nel trattamento dei tumori. Egli interessò i suoi colleghi esperti in altri settori clinici delle tecniche del freddo, che da quel momento incominciarono a essere chiamate chirurgia criogenica o criochirurgia.
Questo strumento è diventato essenzialmente il prototipo da cui tutte le future sonde criochirurgiche che usano azoto liquido sono state sviluppate.

I lavori e le ricerche del Dott. I. Cooper nell’ambito della  criochirurgia neurologica hanno dato un’impronta indelebile in campo scientifico internazionale e le consequenziali applicazioni neurochirurgiche hanno indotto i ricercatori a essere  concordi nel definire che gli anni 1960 costituiscono l’inizio dell’era moderna della criochirurgia.
Noi ci permettiamo anche di affermare che in questi anni inizia anche l’era moderna della criobiologia (grazie agli studi e alle scoperte del Prof P. Mazur).
La sonda creata da Cooper e da Lee AS non è un semplice (quanto efficace) strumento d’intervento chirurgico ma una "chiave di volta" per le applicazioni future; quest’apparato spiana la via in modo definitivo a nuove metodologie sia chirurgiche sia biologiche.
E’, quindi, doveroso rinnovare i nostri ringraziamenti a questi scienziati illuminati e indimenticabili.





VERSO LE MODERNE TECNICHE CRIOCHIRURGICHE: MIGLIORAMENTO DELL’ABLAZIONE GHIANDOLARE DEL CANCRO PROSTATICO UTILIZZANDO DA 6 AD 8 CRIODI.

Dagli anni della sua comparsa, grazie agli studi del prof. Cooper e dell’ing. Lee, la moderna criochirurgia non si è mai fermata nella sua evoluzione. Negli anni 1993 verifichiamo una sua rinascita in particolar modo nel trattamento di cancri prostatici localizzati. I metodi descritti da Onik et all. sono stati adottati da buona parte dei criochirurghi  [14].  
Il tentativo era la distruzione ghiandolare completa ma ciò non si poteva ancora realizzare [22]. Si riusciva ad ottenere un’ablazione di cancro dall’80% al 90% degli interventi conosciuti [17-20].
Maggiori erano le dimensioni tumorali minori erano i risultati positivi ottenuti  [26,28,30]. Questo fatto si spiega verificando il fronte di diffusione del freddo e la sua distribuzione  termica. Bisogna ricordare che la distruzione di un tessuto biologico avviene a ben determinate temperature sotto le quali si ottengono diversi effetti infiammatori ma non l’uccisione delle cellule.
Nel 1994 l’utilizzo di cinque criodi fu considerato una pratica ottimale in considerazione anche del fatto che il concorso di termosensori nell’informazione chirurgica poneva una migliore prospettiva d’intervento  [31][26].
L’impiego di otto criodi fu certamente un miglioramento nella distruzione dei tumori e negli effetti positivi che si riscontravano sui pazienti.
E’ quanto presentò il prof. Fred Lee confrontando un gruppo di pazienti trattato con 6 – 8 sonde con quello preventivamente trattato con il metodo a cinque criodi.    I punti di riferimento furono gli acini epiteliali residui (REA) e il siero antigene specifico prostatico (PSA) ottenuto sei mesi dopo il criointervento [26].



COMMENTI del Prof  Lee.


I commenti sulla presente ricerca espressi dal prof Lee annunciano un’ampia visione e, diciamolo pure, futuristica degli interventi di criochirurgia.
Queste nostre asserzioni troveranno nelle seguenti pagine una conferma "sperimentale" che ci sorprenderà un poco e ci farà sperare in un felice proseguimento di detta scienza.
La criochirurgia continua a essere guidata attraverso le ricerche biologiche e tecnologiche. In aggiunta ad un sistema a otto criosonde e le conoscenze di un’uccisione assoluta a – 40°C hanno favorito la nostra ricerca per la completa ablazione prostatica [32]. L’obiettivo, auspicato dallo studioso, e cioè  di avvicinarsi a una completa distruzione della ghiandola prostatica ha incrementato di 3.5 volte rispetto al tradizionale metodo delle cinque sonde e identifica l’89% dei nostri casi.
Il precedente uso delle cinque criosonde produce risultati patologici confrontabili con quelli delle altre terapie da radiazione [33, 34].
Le parole conclusive del prof Lee sono il miglior auspicio futuro: "Il nostro metodo aiuterebbe a standardizzare la criochirurgia e a produrre più facilmente un quadro di esperienza. Una prospettiva di studi multi istituzionali potrebbe essere istituita."  





Prove di laboratorio e simulazioni fisico matematiche.

Il precedente lavoro del prof. Fred Lee e collaboratori è, secondo noi, un passo indicativo che conferma il nostro discorso riguardo all’evoluzione della chirurgia del freddo.
Per quanto le ragioni edotte dagli autori possono, in parte e in luce delle attuali scoperte, essere discutibili, nulla vieta di concordare sul fatto  che un maggior numero di sonde favorisce certamente l’intervento  criochirurgico.
A nostro modesto parere, però,  l’osservazione critica va posta non solo sull’aumento del numero di sonde, ma anche nella metodologia dell’intervento e nelle ragioni fisico-matematiche della trasmissione termica che stanno alla base di questi interventi.
Ci è pertanto d’aiuto un lavoro di Baust e Gage dell’università di Buffalo (NY) che è stato pubblicato nel 2005 col titolo "La base molecolare della criochirurgia".
In questa relazione gli autori propongono che la recente ricerca molecolare ha la potenzialità di diffondere sostanzialmente l’efficacia della criochirurgia, specialmente nel trattamento dei tumori.
Secondo la loro esperienza l’aspetto critico di questa ricerca è il riconoscimento che l’apoptosi è un meccanismo di morte cellulare dovuto all’effetto criogenico. Questa caratteristica recentemente definita di danno da congelamento può fornire un’opportunità di manipolare l’evoluzione del danno e di gestire in modo efficace la protezione dei tessuti sani creando efficaci ripari in modo tale da essere utile in terapia.
Nel loro articolo è presa in considerazione la base criobiologica della criochirurgia e sono definite le pratiche tecniche che dovrebbero aumentare l’efficacia degli interventi criochirurgici.
La mancanza di apporto di sangue priva le cellule di ogni scambio per la sopravvivenza.
L’importanza di questo meccanismo di danno, avendo come caratteristica la stasi vascolare nel tessuto scongelato, è stata a lungo analizzata, compreso recenti esperimenti [35]. Ciò nonostante, dal punto di vista molecolare, il più importante passo in avanti nella ricerca di base riguardo alla criochirurgia è il riconoscimento che l’apoptosi è un meccanismo di morte cellulare che segue il danno da freddo [36].
Le cellule apoptotiche sono caratterizzate da un taglio del DNA non-random, da estroflessioni delle membrane, dall’inversione dei fosfolipidi nelle stesse e dall’attivazione di caspasi [38].
Cellule apoptotiche nel carcinoma umano del colon furono scoperte da Hanai et al [15] dopo esposizione a temperature di blando congelamento (da -6°C a -36°C). Studi cinetici mostrarono che le cellule potevano entrare nello stato apoptotico fino a otto h dopo il riscaldamento; caratteristiche simili sono riportate da Yang et al [16]. La scoperta relativamente recente dell’apoptosi nelle cellule aggiunge una nuova dimensione all’eventuale terapia [17].
L’affermazione che le cellule tumorali in molti organi, come la ghiandola prostatica, il rene e il fegato, necessitano che alcune specifiche tecniche siano usate per assicurare la distruzione, significa avere la sensibilità scientifica verso tecniche bio-strumentali che possano distruggere le varie cellule neoplastiche utilizzando procedure diverse tra le varie nature tumorali.

L’utilizzo di più sonde permette di arrivare alla formazione di temperature ablative più uniformi e basse nel tessuto bersaglio. Le dimensioni del tessuto che deve essere raffreddato includono il tumore e  una fetta appropriata di cellule sane circostanti, un volume comparabile alla grandezza di tessuto da recidere se la chirurgia di recisione fosse la terapia scelta. Nel fegato o rene, margini di 1 cm attorno al tumore sono facilmente raggiungibili, ma la ghiandola prostatica ha relazioni e dimensioni anatomiche che impediscono tali margini.
Si deve ricorrere pertanto a una tecnica che deve essere modificata servendosi di più cicli congelamento-scongelamento.
In tal modo si affronta una nuova metodologia che applica vari cicli termici aumentando la distruzione cellulare dovuta all’intervento criochirurgico.
Il metodo comunemente accettato a lungo insegnato circa la chirurgia crioablativa per tumori è di congelare il tessuto così rapidamente da raggiungere una temperatura di morte cellulare nel tessuto. Congelare, quindi, sino  a un margine sicuro oltre la fine del tumore (senza sconfinare oltre l’accettabile nel tessuto sano), scaldare  lentamente, per poi ripetere il ciclo congelamento-scongelamento secondo quanto in precedenza abbiamo verificato.
In tal modo s’incomincia a parlare di "tempi" di raffreddamento e di "cicli".
Le velocità di raffreddamento, di riscaldamento e il profilo di temperatura, variano con la distanza dalla sonda fredda.
Il ghiaccio intracellulare avviene entro una larga gamma di temperature, cioè da 20-50°C/min. [19,20]. Nelle cellule strettamente impacchettate anche una velocità di raffreddamento più bassa può produrre ghiaccio intracellulare [38].
La temperatura prodotta nel tessuto è criticamente importante; una temperatura del tessuto da -40°C a -50°C dovrebbe essere prodotta nel tumore, entro una distanza di sicurezza attorno al tumore [39, 35, 20].
Alcuni dati sperimentali suggeriscono che una temperatura tessutale di -20°C è opportuna per la distruzione tessutale ma questa raccomandazione dovrebbe essere vista con scetticismo. Certamente un danno tessutale esteso avviene da -20°C a -30°C, ma la distruzione cellulare è incerta o incompleta.
Quando il tessuto è mantenuto da -15°C a -40°C, come avviene specialmente nel caso della periferia degli organi congelati, i cambiamenti biochimici e la crescita dei cristalli di ghiaccio subiscono un aumento, incrementando anche la velocità di morte cellulare. Comunque, l’optimum di durata di congelamento non è ben definito e può essere specifico per cellula e tessuto.
Più lunga è la durata dello scongelamento, più ampio è il danno alle cellule per gli effetti di soluto, la ricristallizzazione dei cristalli di ghiaccio, il prolungato stress ossidativo e la crescita dei cristalli di ghiaccio.
I grandi cristalli di ghiaccio che si formano durante la ricristallizzazione "a caldo" creano forze trasversali che rompono i tessuti. Questo tipo di crescita dei cristalli è massimo da -15°C a -40°C, e specialmente da -20°C a -25°C. Un rapido scongelamento aumenta la possibilità di sopravvivenza cellulare, che è da qualche tempo conosciuta nel trattamento del congelamento.
La ripetizione del ciclo congelamento-scongelamento produce un raffreddamento tessutale più veloce e maggiormente esteso, cosicché il volume del tessuto congelato è allargato e i confini della distruzione certa tessutale sono spostati più vicino al confine esterno del volume congelato. Il primo ciclo congelamento-scongelamento aumenta la conducibilità termica del tessuto causata dalla distruzione cellulare. Il secondo ciclo sottoponeva il tessuto a cambiamenti fisico-chimici estesi, mentre s’instauravano danni termici per la seconda volta. Con la ripetizione, il secondo ciclo aumenta la zona di necrosi a probabilmente l’80% del volume in precedenza congelato. La ripetizione è di speciale importanza nella criochirurgia prostatica perché il secondo ciclo probabilmente sposta l’isoterma letale vicino ai -20°C,  permettendo in tal modo un approccio più stretto ai margini della ghiandola senza danneggiare il retto. Per questa ragione, la ripetizione del ciclo congelamento-scongelamento, critica nel trattamento di tutti i tumori, è specialmente importante nel trattare il cancro della prostata.
E’ nell’anno 2009 che è pubblicato uno studio di processo di raffreddamento e scongelamento di un sistema biologico per opera di K.J.Chua e S.K. Chou del Department of  Mechanical Engineering, Nactional University of Singapore [39].
Questa ricerca apre la strada a una metodologia combinata tra i vari settori delle scienze quali, la biologia, la fisica, la matematica, la medicina e l’ingegneria.
E’ quest’approccio interdisciplinare che riteniamo molto importante al di la dei risultati che sono stati, comunque, molto significativi ai fini della nostra indagine e di grande importanza strumentale e scientifica.
I ricercatori si propongono di poter controllare l’ampiezza del disgelo e del raffreddamento entro alcuni intervalli critici di temperatura in modo da regolare l’estensione spaziale degli effetti distruttivi durante il raffreddamento.
Allo scopo di visualizzare le isoterme in una determinata zona d’interesse specifico è stato creato un modello fisico-matematico, tramite il quale gli operatori sono in grado di valutare il danno nei tessuti di specifico interesse.
Il sistema è stato verificato e confrontato con dati ottenuti sperimentalmente sottoponendo a raffreddamento campioni di fegato porcino.
Uno dei vantaggi della criochirurgia è la possibilità di localizzare il trattamento, anche simulandone matematicamente il fronte freddo e quindi minimizzare i danni ai tessuti circondanti. I dottori K.J. Chua e S.K. Chou evidenziano che nella criochirurgia non sono presenti la maggior parte degli effetti post-operatori caratteristici degli interventi convenzionali del cancro.
Ricordano, inoltre, che il freddo non garantisce l’effettiva distruzione completa dei tessuti. In realtà per applicare questa tecnica, è essenziale determinare i parametri termici che causano l’effettiva distruzione del tessuto [39].
E’ nell’insieme di questa ricerca che è introdotto il termine "modello" inteso nel senso più ampio ed estensivo del termine.
Un modello matematico di sperimentazione calibrata, quindi, diventa un efficace strumento nella pianificazione dei protocolli raffreddamento-disgelo. Nonostante la reale estirpazione del tumore ottenuta dalla criochirurgia, i fondamentali cicli raffreddamento-disgelo, se non ragionevolmente incrementati, possono produrre dei risultati non quanto quelli desiderati. La tecnica ottimale della criochirurgia, quindi, richiede un’accurata comprensione del ciclo raffreddamento-disgelo con le sue componenti biologiche.
Diventa fondamentale la creazione di un completo ed esteso schema fisico-biologico-matematico in grado da favorire e rappresentare le variazioni biofisiche che avvengono nei tessuti durante l’intervento di criochirurgia. Detto modello deve incorporare e, quindi, rappresentare fasi multiple delle variazioni fisiologiche e, pertanto, critiche e  complesse nel considerare gli svariati processi biologici  coinvolti.
Nello studio dell’università di Singapore è sviluppato, invece, un modello biotermico per studiare parametri operativi importanti, come il numero di cicli raffreddamento-disgelo, come le temperature di disgelo e intervalli tra fronti raffreddanti durante il congelamento di un sistema biologico. Assume perciò fondamentale importanza la capacità di esaminare il grado di distruzione cellulare da un punto di vista meccanicistico, riguardo all’ampiezza del freddo e al grado di mobilità cellulare.
E, fatto notevole, il modello è in grado di tracciare il fronte freddo nell’intervallo di (0°C e -50°C) che lo rendono veramente moderno e utile per gli studi di relazione tra cicli raffreddamento-disgelo e l’intervallo del fronte raffreddante.
La ricerca è stata quindi intrapresa con una visione ampia,  incorporando tutte quelle analisi importanti inerenti ad un modello di trasmissione termica in un sistema biologico.

Recenti esperimenti hanno indicato una correlazione tra la velocità del fronte freddo e l’intervallo tra la sua propagazione e il confine delle cellule morte [40,41]. Questo intervallo può essere utilizzato come parametro per valutare l’efficacia di ogni protocollo criochirurgico nella distruzione delle cellule cancerogene negli organi biologici. Quando l’intervallo del fronte freddo è molto ampio, verso la fine dell’intervento criochirurgico, l’efficacia di detta operazione  può essere compromessa se la regione delle cellule morte è ritenuta piccola, mentre una larga regione subisce una formazione ghiacciata  intra ed extracellulare. In tale situazione, il chirurgo ha bisogno di essere messo in guardia contro il sotto trattamento. Idealmente, il contorno della totale morte cellulare  (-50°C fronte-freddo) potrebbe avvicinare il margine del tessuto, mentre gli 0°C risiederebbero nei 10 mm periferici dal margine del tessuto stesso. Poiché lo sviluppo dell’ice-ball è dipendente da molti parametri operativi, come le dimensioni e il tipo di una criosonda, il valore e l’efficienza del trasporto criogenico,  l’efficacia del trasferimento di calore alle sonde, i sistemi termici, la conducibilità termica, il calore specifico e latente, e la distanza tra il luogo del bersaglio e la sonda, è più probabile ottenere un intervallo di un fronte freddo maggiormente ampio di quello del caso ideale [41].
Facendo nostre le osservazioni conclusive dei due ricercatori, ricordiamo che per ottenere un livello desiderato di distruzione cellulare in un qualsiasi sistema biologico è essenziale prevedere la distribuzione delle temperature, il profilo e la posizione dei fronti freddi dentro il tessuto biologico in esame.
Crediamo che questo modello sia utile per gli studi clinici della criochirurgia come valido riferimento per nuovi approfondimenti nella comprensione della crioablazione dei tessuti ammalati.

E’ nella fine del primo decennio che avvengono i maggiori sforzi scientifici per migliorare le tecniche criochirurgiche.
Migliorare significa comprendere il fenomeno e, nel rispetto delle leggi scientifiche, applicarlo o utilizzarlo ai fini chirurgici.
In merito, nell’anno 2009 è  stato pubblicato un lavoro di John G. Baust, Andrew A. Gage, Anthony T. Robilottto and John M. Baust nel quale sono
proposte, infatti, le risposte del cancro prostatico alle terapie termiche con una particolare enfasi riguardo alle tecniche crioterapiche [43].







Scoperte recenti.

Studi a lungo termine dimostrano chiaramente l’effetto dell’uso delle moderne tecniche crioterapiche nel trattamento del cancro prostatico L’American Urology Association Best Practice Guidelines identifica la crioablazione prostatica come terapia sia primaria sia conservativa. Moderni studi evidenziano e confermano l’efficacia dell’esposizione a -40°C letale per i genotipi del cancro prostatico con la tecnica del doppio congelamento-scongelamento. E’ segnalato, inoltre, l’uso di additivi per sensibilizzare il cancro alle basse temperature.
Vediamo che i valori letali si aggirano intorno ai -40°C non molto lontani dai (-50°C) proposti dai bioingegneri  dell’Università di Singapore.
Le terapie termiche, specialmente la crioablazione, sono di crescente interesse per il trattamento dei tumori prostatico e renale. I metodi per l’applicazione della terapia criogenica e il meccanismo di morte cellulare che sottendono al ciclo di congelamento scongelamento sono chiariti. La ricerca focalizzata sullo sviluppo di agenti sensibilizzanti per il congelamento è di centrale interesse per promuovere l’efficacia di questa terapia.



Adiuvanti.

Nonostante il doppio congelamento, qualche cellula può ancora sopravvivere: è dunque necessaria la presenza di additivi: radioterapia (le cellule raffreddate, infatti, mostrano sensibilità maggiore alle radiazioni) [43]; potenziatori immunologici (il congelamento del cancro porta, infatti, a una risposta immunologica con remissione anche metastatica); farmaci citotossici, approccio maggiormente usato (si è dimostrato che l’efficacia maggiore si ha quando il farmaco è dato 1-4 giorni prima dell’intervento) [44,45].
In questi anni gli sforzi, quasi universali, dei ricercatori del mondo riguardo alla criochirurgia sono orientati alla comprensione biofisica del fenomeno.
In merito sono pubblicati lavori sempre più raffinati e coerenti che sono l’immagine delle frontiere raggiunte.
Siamo pertanto alle soglie di nuovi eventi criochirurgici che solo pochi anni fa erano semplicemente impensabili.
Testimone di quanto appena accennato lo è la pubblicazione di A.A. Gage, J.M. Baust   and J.G. Baust dal titolo indicativo: "Indagini sperimentali di criochirurgia in vivo"   [46].
Si tratta di una carrellata d’interventi criochirurgici fatti su tutti gli organi umani. Sono descritte le difficoltà incontrate e i successi ottenuti.
Questa recensione offre una panoramica globale di sperimentazione in vivo, che è stata la base del progresso di questa specifica terapia. Gli effetti sui tessuti cellulari e  gli eventi a essi correlati che rappresentano la base dei meccanismi di distruzione sono esplorati ed evidenziate le lesioni dirette sulle cellule (criolisi), la stasi vascolare, l’apoptosi e la necrosi; sono presentate, inoltre, determinate  norme  ottimali di tecnica di congelamento per ottenere una terapia efficace. Gli autori descrivono esperimenti in vivo con organi importanti, tra cui la guarigione delle ferite, ad azione immunologica, a causa della conseguente risposta allo scongelamento, e l'uso di strategie crioaggiuntive per aumentare la sensibilità delle cellule cancerogene agli effetti del gelo.



Lesioni cellulari dirette.

Il punto di riferimento per la distruzione cellulare diretto da congelamento è la formazione di cristalli di ghiaccio che rimuove l'acqua dalle cellule e porta a una cascata di eventi dannosi alle stesse[47,48]. Recenti indagini in vitro hanno identificato l'apoptosi come meccanismo diretto di lesione [49]. Ciò è stato confermato da esperimenti in vivo (Steinbach e altri), che mostrano la presenza di necrosi nella parte centrale della lesione e l'apoptosi nella periferica, a 8-12 ore dalla prima applicazione del freddo[50]. Forest iniettando cellule di adenocarcinoma umano polmonare nei topi, ha mostrato che la parte centrale della lesione congelata era necrotica, ma la zona periferica aveva cellule apoptotiche. L'apoptosi è aumentata progressivamente in un intervallo di 2-8 ore dopo il congelamento, anche se i confini tra i due non erano chiari. Un secondo picco di necrosi è stato osservato dopo quattro giorni[51,52]. Wen iniettando cellule di adenocarcinoma del polmone nella sottocute dei topi, dopo il congelamento ha osservato necrosi nella zona centrale del tumore, con un aumento del 68% del volume  in quattro giorni. Nella zona periferica della lesione, ha notato un aumento di cellule apoptotiche, con un picco 8-16 ore dopo il congelamento. Si pensa che l’innesco dell’apoptosi sia dovuto al danno mitocondriale e a un aumento dell’espressione della proteina Bax e all’attivazione delle caspasi[53]. Questi esperimenti confermano l’importanza dell’apoptosi nella morte cellulare delle lesioni, in particolare nella regione periferica, al tempo stesso ci permette di evidenziare lo stretto collegamento che c’è tra gli esperimenti riportati in vitro con quelli in vivo.



Il danno vascolare.


Negli ultimi anni la criochirurgia moderna ha eseguito diversi esperimenti su tessuti di vario genere, quali: fegato di ratto, pelle di maiale, di coniglio, di criceto.
Tutti questi hanno mostrato un danno del microcircolo. Durante la fase di scongelamento, il tessuto prima congelato, si mostra progressivamente edematoso e congesto.

La causa dell'edema è il danno delle giunzioni delle cellule endoteliali, già evidente nelle prime due ore dopo la fase di scongelamento, con conseguente aumento della permeabilità capillare, edema, aggregazione delle piastrine e, infine, trombosi. La maggior parte delle cellule va in necrosi a una temperatura compresa tra zero  e -20° C gradi, le restanti in apoptosi. L'importanza relativa del danno cellulare diretto e del microcircolo rimane poco chiara, anche se entrambi sono importanti elementi nella tecnica criochirurgica [54].








Tecnologia-Metodi e Controllo di congelamento.

Una grande varietà di agenti criogenici e di tecniche di congelamento con diversi apparecchi è stata utilizzata negli esperimenti di criochirurgia. Gli studiosi nella prima metà del 1900 producevano lesioni da congelamento nei diversi tessuti e hanno acquisito una notevole esperienza nel campo della criochirurgia. Questi esperimenti hanno contribuito a spianare la strada per l'era moderna, iniziata (come in precedenza accennato) da Cooper e Lee nel 1961 quando si sono creati apparecchi automatici di raffreddamento con azoto liquido (-196 ° C). Anni dopo, lo sviluppo di apparecchi che raffreddano più sonde simultaneamente o in sequenza hanno migliorato la versatilità delle tecniche [55,56]. Negli ultimi anni, argon (-186 °C) e azoto ossido (-89,5 °C), che avevano un uso limitato in passato, sono diventati di comune utilizzo come gas compressi, prendendo il nome dei fisici che hanno scoperto l’effetto criogenico a essi correlato Joule-Thomson (JT). I gas compressi, specialmente argon e protossido di azoto, hanno permesso la costruzione di diversi strumenti, come sonde sottili aghiformi, sonde a catetere, strutture di palloncini, e morsetti.
Questi moderni dispositivi, avevano alcune differenze nella capacità di congelamento legate principalmente al tipo di criogeno in uso. Il volume di tessuto congelato in un’unica applicazione da una criosonda è direttamente legato alla temperatura della sonda, all’area e alla durata del contatto con il tessuto. Altro importante fattore è la conducibilità termica della struttura cellulare. Per utilizzare due o più sonde contemporaneamente s’introduce una misura d’incertezza nella disposizione in questione tale da creare un’entità d’interazioni durante il congelamento. Tutto ciò coordinato da particolari software [57].
Numerosi studi si sono concentrati nel monitoraggio sulla progressione di congelamento nei vari  tessuti. Sono stati utilizzati particolari Aghi-termocoppie per misurare la temperatura, ma questi non hanno fornito una visione globale del volume congelato.  Tecniche d’imaging ecografiche attuate da Onik  nel 1980, hanno permesso un accurato monitoraggio nel processo di congelamento [58,59]. Nel 1990 si è determinato un rinnovato interesse per la criochirurgia. L'ecografia è il metodo più comune per monitorare il processo di congelamento, ma la sua principale limitazione è il cono d’ombra [60,61]. Il suo uso può e spesso deve essere combinato con l'apporto di termocoppie poste in zone appropriate del tessuto.
Seguirono ricerche sulla validità della tomografia computerizzata (TC) e Risonanza Magnetica (RM) per monitorare il congelamento dei tessuti [62,63,64]. La TC ha il vantaggio di fornire un’immagine tridimensionale. La RM oltre a fornire un’immagine tridimensionale, con software appropriato è anche in grado di prevedere le curve isotermiche nel tessuto congelato. La quantità di volume distrutto è stata leggermente inferiore a quella congelata, come da previsione,  perché le cellule comprese nel range tra zero a -20 °C non sono completamente distrutte. Altre tecniche meno comunemente utilizzate hanno suscitato un interesse nei vari esperimenti tra cui la termografia e l'impedenzometria, includendo la recente evoluzione tecnica della tomografia a impedenza elettrica [65,66,67,68].




La lesione criogenica.

Prima dell'era moderna nel 1960, negli studi di procedimenti fisiologici sono state utilizzate tecniche di congelamento locale per distruggere tessuti come cervello, cuore, fegato, rene di conigli e gatti [69].
Gli studiosi hanno descritto la  natura della lesione che è dotata di una zona centrale di grande dimensione necrotica circondata da una stretta fascia periferica o di confine parzialmente danneggiata e con cellule superstiti. L’area periferica è una regione di grande interesse a causa delle implicazioni terapeutiche aggiuntive. In questa regione, la velocità di raffreddamento è lenta, la durata di congelamento è breve, la temperatura finale è nel range tra zero e -10 °C e il riscaldamento è piuttosto rapido. Alcune cellule sono in stato di necrosi, altre apoptosi e altre ancora possono sopravvivere. Quelle apoptotiche andranno in necrosi in condizioni anossiche, tipiche della lesione criogenica [70,71,72,73,74]. Alcune cellule sopravvivono anche a uno stress osmotico e termico di -15° C. [47,6,48]. E' in questo range che diventa importante lo studio delle differenti sensibilità termo-fisiche cellulari.


Sensibilità al gelo delle cellule.


Diversi tipi di cellule hanno una differente sensibilità alle temperature di raffreddamento. Queste possono essere identificate attraverso i brevi cicli di congelamento. Esperimenti evidenziano i cambiamenti di sensibilità al freddo che avvengono nel range di temperatura tra zero e -30 °C [18, 75]. Sono state analizzate ghiandole sebacee e follicoli piliferi in questo intervallo di temperatura, ma i cheratinociti sono sopravvissuti a -30 °C. Gli osteociti sono uccisi a circa -10 °C [76]. In condizioni fisiologiche le cellule renali, del fegato e della prostata muoiono a circa -15 e -20 °C [68,77,78,79,80]. I fibroblasti sono i più resistenti al congelamento. Anche le cellule tumorali mostrano una straordinaria e variabile resistenza agli effetti delle basse temperature [81,82,83,84]. I vasi sanguigni, l’osso e le strutture nervose rimangono intatte.


Guarigione delle ferite.

La guarigione della lesione criogenica è legata alla severità dell’impatto criogenico e al tipo di tessuto. Una lesione prodotta da una breve esposizione al freddo di - 10 °C, può comportare una perdita di poco tessuto e guarirà in fretta. A un intervallo termico di -20 a -30 °C, la perdita di tessuto sarà maggiore e direttamente connessa alla durata dell’esposizione. La guarigione della ferita è solitamente completa. Il processo inizia con una reazione infiammatoria mediata da neutrofili e cellule mononucleate, in seguito stimolati da altri fattori quali prostaglandine, istamina e citochine. A questa infiltrazione cellulare segue ipotermia e edema che si sviluppano con lo scongelamento dei tessuti congelati. Gli studiosi hanno suggerito che l'infiltrato cellulare contribuisce allo sviluppo dell’apoptosi e distruzione dei tessuti [85,86]. L'infiltrazione cellulare aiuta a stabilire il nuovo sistema vascolare, che è fondamentale per il processo di riparazione del tessuto [76]. La lentezza nella guarigione è una caratteristica della lesione da congelamento. Il tempo è necessario per eliminare il tessuto necrotico, sia per "slough" (rigenerazione cutanea) o da riassorbimento che è sicuramente più lento di un’escissione chirurgica.


Diversi Tessuti.

I differenti tessuti cellulari reagiscono in maniera dissimile dallo stress del freddo. La cute è ricca in collagene, elastina, e fibroblasti, che resistono all’insulto del congelamento, per cui la guarigione è generalmente favorita. Il collagene danneggiato è assorbito e sostituito lentamente da quello nuovo. Le fibre muscolari e dei tessuti cellulari, come il fegato e le reni, guariscono con la sostituzione del tessuto fibroso, che può essere un processo lungo, secondo il volume di tessuto congelato. L'architettura dei nervi, vasi sanguigni principali, e l'osso è in gran parte conservata dopo la devitalizzazione e serve da impalcatura per la riparazione. Diverse strutture tessutali sono state al centro di esperimenti preliminari per l'applicazione clinica della criochirurgia, comunemente per la cura dei tumori.
L'uso della criochirurgia in alcuni tessuti è comune nella pratica clinica e ha bisogno di poco per una nuova attività sperimentale su animali.






DISCUSSIONE CONCLUSIVA SULLA CRIOBIOLOGIA.

Informatizzazione delle procedure.


La programmazione del trattamento criochirurgico di una massa voluminosa comporta,  necessariamente, l’utilizzo di criodi il cui numero deve essere proporzionale alle masse tessutali che si vogliono distruggere. Tale circostanza complica e limita, in genere, il campo di azione della criochirurgia richiedendo l’impiego di più punte criogeniche (si è, come in precedenza affermato, arrivati a utilizzarne otto ed anche più). Non dimentichiamo, tuttavia, che un’elevata potenza criogenica e l’uso di più criodi inseriti nella struttura da congelare complicano ulteriormente la regolazione del sistema, ciò comporta un’attenta conoscenza delle apparecchiature e del loro funzionamento ma, fatto fondamentale, implica la perfetta comprensione della diffusione termica del fronte freddo.
Le leggi di diffusione del calore (nel nostro caso s’intende diffusione negativa ma nulla cambia gli aspetti fisici e matematici  del fenomeno) sono state opportunamente studiate e la simulazione della propagazione criogenica nei tessuti biologici ha avuto un grande sviluppo grazie anche all’apporto dei software matematici applicativi.  
Poiché tessuti sani e tumorali hanno proprietà termiche molto simili, l’abbassamento di temperatura deve essere mirato e la definizione dei parametri che variano da operazione e da paziente a paziente (vale a dire, disposizione e profondità d’inserimento dei criodi, temperatura da essi raggiunta, ecc.) deve essere accuratamente progettata.
Facciamo nostre le parole del Dottor Giovanni Giorgi che descrive il nostro soggetto con chiarezza e semplicità:

"


Tuttavia, se diversi cicli di congelamento e scongelamento sono letali per porzioni di tessuto tumorale, allo stesso modo il tessuto sano ne può essere intaccato: per questo motivo, ogni esperimento criochirurgico deve essere approfonditamente pianificato allo scopo di minimizzare le conseguenze dell’azione dei criodi sulle regioni sane. Dal momento che tessuti sani e tumorali hanno proprietà termiche molto simili, l’abbassamento di temperatura deve essere mirato e la definizione dei parametri liberi che variano da operazione a operazione e da paziente a paziente (vale a dire, posizionamento e profondità d’inserimento dei criodi, temperatura da essi raggiunta, ecc.) deve essere accuratamente progettata. Quando, attraverso l’uso di una qualche modalità d’imaging, si siano precisamente ricostruiti i confini della regione tumorale da trattare e siano già state considerate eventuali indicazioni fisiologiche provenienti dallo staff medico, il problema della definizione dei parametri liberi di un’operazione criochirurgica diventa legato esclusivamente alle dinamiche fisiche della propagazione del calore all’interno del tessuto. La determinazione della più opportuna configurazione di parametri che precede ciascun’operazione di criochirurgia è detta planning criochirurgico ed è generalmente affidata a sistemi automatici basati su complicati strumenti matematici e computazionali.

Dal punto di vista matematico, la propagazione del calore è, al pari di molti altri fenomeni fisici, regolata da equazioni differenziali. In generale, la risoluzione dell’equazione differenziale del calore dà luogo a una famiglia di soluzioni: da queste, può essere estratta la (unica) soluzione di un particolare problema imponendo il soddisfacimento di quelle che sono dette condizioni iniziali e condizioni al contorno, relative al problema specifico.
Per fare un esempio, nel caso particolare di un’applicazione criochirurgica, la distribuzione di temperatura a un dato istante sarà fornita dalla risoluzione di un’equazione differenziale avente, come condizione iniziale, la temperatura all’istante iniziale su tutto il tessuto (37 gradi centigradi) e, come condizione al contorno, la temperatura raggiunta sui rispettivi bordi da ogni criodo; ogni configurazione di criosonde darà luogo a determinate condizioni al contorno, le quali identificheranno la distribuzione di temperatura relativa a quella particolare configurazione
. "


L’introduzione di particolari aghi termici posti a difesa degli organi sani che non devono subire l’ingiuria del freddo sono stati simulati permettendo, tramite queste equazioni, di costruire modelli matematici molto complicati del fenomeno. In questi modelli analitici è considerato il diffondersi del calore in un ambiente in funzione anche del tempo. Si è in grado, quindi, di sapere nel tempo la distribuzione termica del fronte criogenico. Lo spazio è chiamato geometria specifica dell'equazione che è opportunamente inserita nel modello e deve rispettare quanto più fedelmente possibile le informazioni ricevute dalle radiografie mediche.  
Per realizzare una simulazione logico-matematica il più corrispondente alla realtà è necessario, oltre alla geometria delle masse, quantificare i dati concernenti le variazioni di temperatura tessutale legate al flusso ematico distrettuale. Per l’implementazione  di tutti questi parametri e la loro elaborazione in dati utilizzabili nella programmazione e nel monitoraggio della  criochirurgia  si rende indispensabile l’impiego di un’informatizzazione  piuttosto complicata [87].
E' in quest’ambiente che strumenti con caratteristiche di ottima adattabilità, supportati da processi simulativi  nel trattamento preparatorio e monitoraggio nella valutazione immediata e tardiva dei risultati,  trovano il loro massimo impiego e costituiscono oggetto di  sviluppo tecnologico.
Avremo occasione, in un particolare capitolo dedicato alla storia degli sviluppi fisico-matematici della criochirurgia, di verificare e costatare quanti progressi sono stati fatti in questo importantissimo settore. Saremo, però, anche informati quanto lunga è ancora la strada per raggiungere la perfezione strumentale che auspichiamo per il bene sociale che questa scienza serba nel suo grembo.


Fisica, ingegneria e biologia applicate alla criochirurgia.


Gli strumenti impiegati in criochirurgia, per il loro funzionamento, in genere, sfruttano  l'effetto Joule-Thomson (come abbiamo in precedenza affermato). Questo fenomeno, conosciuto agli inizi del secolo scorso, è caratterizzato dal fenomeno fisico che, quando un gas è fatto passare per una tubazione alla cui estremità il condotto si restringe fino a divenire di dimensioni tali da essere considerate capillari (frazioni di millimetro) e, quindi, fatto espandere per tale via, si provoca una variazione di temperatura. La modifica dello  stato fisico (cambiamento repentino di pressione e volume) che si può assimilare (con buona approssimazione) a una variazione adiabatica, richiama calore dall'esterno perché è stato svolto "lavoro" nell'espansione; ne consegue una diminuzione della temperatura nell'immediata vicinanza della strozzatura capillare.
Tutto ciò  è condizionato da una serie di fattori: tra questi giocano un ruolo fondamentale le condizioni fisico-chimiche del gas utilizzato per la criogenia.
E per descrivere le condizioni progettuali che devono essere risolte dai costruttori di strumenti per la criochirurgia ci vengono nuovamente in aiuto le parole del Dottor Giovanni Giorgi che dicono a riguardo:
"In generale, il problema diretto della determinazione della soluzione di una equazione differenziale date le condizioni iniziali e al contorno e il problema inverso di determinare dalla soluzione di una equazione differenziale le corrispondenti condizioni, sono radicalmente diverse. Si può dimostrare che, nel caso dell’equazione del calore, al problema diretto è sempre associata un’unica soluzione che dipende con continuità dai dati; ciò significa che, nel caso in cui ci sia una mancanza di precisione nelle condizioni al contorno, essa si manifesterà in modo contenuto sulla precisione della soluzione. La stessa affermazione non è, invece, più vera quando si parla di problema inverso per l’equazione del calore: qui, infatti, piccole imprecisioni nei dati sulla temperatura possono portare a enormi errori nella definizione dei parametri al contorno e, inoltre, può non essere sempre vero che una soluzione al problema inverso esista o sia unica. Queste caratteristiche intrinseche del problema inverso (cioè assolutamente indipendenti dagli strumenti matematici utilizzati) sono ciò che rendono difficile la realizzazione di strumenti efficaci e veloci che risolvano il problema del planning criochirurgico. In più, quando (come in criochirurgia) si ha a che fare con tessuti biologici, la difficoltà del problema è accresciuta dal fatto che la propagazione del calore è regolata da equazioni non-standard che devono tenere conto di contributi esterni del sangue e dei tessuti circostanti e del passaggio di stato dovuto al congelamento."

Da qualche tempo i confini della nuova frontiera del freddo sono tracciati. Da una parte stanno  la conoscenza e il rispetto delle note leggi fisiche, dall’altra le acquisizioni sulla biologia dei tumori e sulle innovazioni tecnologiche. L’ambito d’interesse, oncologico e non, è ben codificato. Tuttavia, a tale riguardo, come terreno  in parte inesplorato, si pone la ricerca applicata all’informatizzazione e al monitoraggio dell’effetto biologico durante  l’impiego delle apparecchiature biomedicali.
Come abbiamo in precedenza affermato l’aspetto dimensionale di una massa neoplastica non è rappresentabile con un’unica equazione matematica. Di contro la diffusione termica segue configurazioni di natura  sferica. In altre parole il calore (e quindi il freddo) si diffonde secondo isoterme sferiche il cui centro è occupato dal criodo. Diventa interessante poter verificare, in termini analitici, il comportamento di più sorgenti termiche disposte in varie posizioni dello spazio circostante e analizzare le varie curve a temperatura costante che vengono a formarsi. Le strutture matematiche atte a rappresentare queste geometrie termofisiche alla fine del secolo scorso non erano ancora state approntate (o quantomeno non erano ancora state realizzate con queste finalità). Un approccio sperimentale e analitico può riservare interessanti soluzioni. Diventava pertanto necessaria una ricerca il cui obiettivo fosse  poter monitorare una massa neoplastica prima dell’intervento e determinare, in via analitica, le migliori condizioni di disposizione e d’intensità termica da attribuire ai criodi. Ciò significa valutare le dimensioni della massa da distruggere in termini di forma geometrica e di quantità cellulare. A questo punto il "software" del sistema, in base alla struttura del tumore, avrebbe determinato il numero e la posizione relativa dei criodi [87].
Quanto appena affermato riguardo alle possibilità di un approccio simulativo dell’intervento criochirurgico alla fine del secolo scorso era ancora in gestazione e solo nei primi anni del secolo attuale (2000) si sono incominciati a intravedere i primi studi mirati a quanto prima prospettato.
Ne consegue che, considerata la notevole quantità delle parti in campo, l’approccio interdisciplinare sarà fondamentale e indispensabile per far progredire ulteriormente le conoscenze della criobiologia, della chimica, della fisica e dell’ingegneria associate alla criochirurgia.



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